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    Considerazioni sul suicidio

    03 Gennaio, 2016
    by michi
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    “Dottoressa come faccio a capire che il mio protetto sta meditando il suicidio?
    Quali sono i segnali che dovrei cogliere per tutelarlo da questo atto estremo?”.

    Claudia Daniela Travia

    Questa è la domanda che un appartenete alle forze dell’ordine mi ha di recente rivolto e che, in realtà, si aggiunge ad altri quesiti che nascono da luoghi comuni e miti su chi medita o agisce un atto suicidario e su chi gli sta intorno, che avevo già avuto modo di cogliere in passato in riferimento anche ai recenti e molteplici fatti di cronaca.

    Sicuramente il primo dato su tutti che va sottolineato è che non esiste un caso che sia uguale ad un altro, neanche quando gli eventi e gli esiti delle vicende suicidarie sembrano sovrapporsi.

    Esistono senz’altro storie simili, vissuti parzialmente comuni, ma non due soggetti uguali. Di conseguenza non è possibile fornire un protocollo d’azione attraverso cui poter annullare l’istinto di morte che pervade il soggetto e il senso di colpa di chi avrebbe voluto evitarglielo. Si può però creare una visione più chiara sull’argomento che annulli falsi miti e pregiudizi: questa è, a mio parere, la prima vera forma di prevenzione.

    Il suicidio è l’atto estremo di un vissuto emotivamente devastante, caratterizzato da un malessere multidimensionale di un soggetto che non trova altra soluzione per dare fine alla sua estrema sofferenza se non quella drammatica di togliersi la vita. Esso non va visto come il desiderio di morire, ma come l’esigenza di allontanarsi da vissuti che il soggetto non riesce più a sopportare, sopraffatto dall’angoscia, dalla paura, dall’umiliazione, dalla tristezza, dalla rabbia, dalla solitudine: in una parola sola, dalla disperazione. Questo distrugge il primo grande mito sul suicidio, quello secondo cui esso sia legato solo ed esclusivamente alla malattia mentale e spiega, in parte, come possa essere così frequente nella popolazione. Si pensi, ad esempio, che in Italia il suicidio è tra le prime cause di morte insieme agli incidenti stradali, ai tumori e alle malattie cardiovascolari.

    La risposta alla domanda che mi è stata rivolta e con cui apro questo spazio di riflessione, è stata che di fatto una persona che vuole davvero togliersi la vita difficilmente lancia volontariamente dei messaggi perché sa bene che gli verrebbe impedito. Da un lato ci sono casi in cui la persona che non si sente vista o ascoltata, dopo aver chiaramente espresso le sue intenzioni più volte e a più persone, compie un atto estremo davanti a terzi o in prossimità di un telefono o in luoghi pubblici o con strumenti autolesivi con effetto non immediato, mettendo pericolosamente a rischio la propria vita ma con la consapevolezza che, pur rischiando, ha buone possibilità di essere salvata. Ci sono altri casi in cui, invece, il soggetto vuole raggiungere il proprio obiettivo suicidario convintamente e non ha nessun interesse a dare segnali chiari a persone che possano in qualche modo impediglierlo.

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