I bambini che seguiamo sono bambini che “attraggono, che ci attraggono in modo un po’ speciale” e in modo speciale cerchiamo strade inedite e buon senso nel tentativo di leggerne i bisogni, testimoni a volte silenziosi di diritti negati.
C’è una parola che risuona spesso tra le righe del libro “L’attrazione speciale”. Che, sebbene se non espressa, premeva evidente come sfondo di riferimento ai concetti, alle sollecitazioni agli interrogativi, alle considerazioni mai pre-giudiziali del suo autore. La parola che mi spinge a scrivere queste brevi note è “desiderio”.
Lavoro con gli educatori, le educatrici che prestano la loro professionalità in ambito scolastico. I bambini che ci affidano sono bambini con una diagnosi che prevede un accompagnamento a sfondo educativo disgiunto dal ruolo docente di sostegno preposto alla didattica.
Già l’idea di questa separazione fa riflettere. E viene voglia di sorridere se non fosse che probabilmente questo è il presupposto di ulteriori separazioni. Come se educare sia incompatibile con istruire, come se l’educazione nel suo respiro pedagogico non contenga in sé uno e cento apprendimenti i più differenti. La didattica e l’intervento educativo sembrano essere compagni di strada che non si riconoscono e in questa presunta estraneità lontano dal cercare i tratti distintivi delle diverse professionalità in un’ottica di integrazione delle competenze, decretano una gerarchia valoriale che pone l’educatore come vice insegnante di sostegno o preposto alla cura primaria e all’intervento animativo. La strada che Riccardo Massa ci ha indicato è ancora una meta da raggiungere e la presunta dicotomia tra educare e istruire è palese in moltissime scuole che attraversiamo durante il nostro lavoro.
I bambini che seguiamo sono bambini che “attraggono, che ci attraggono in modo un po’ speciale” e in modo speciale cerchiamo strade inedite e buon senso, altre volte ancora riscopriamo strade già percorse nel tentativo di leggerne i bisogni, testimoni a volte silenziosi di diritti negati….comunque sempre in ascolto.
E ancora la parola “desiderio” si riaffaccia prepotente.
Riprende forza a ogni capoverso. Perché il desiderio di cui parlo (sopito da troppo tempo) ha urgenza di un’espressione.